Aveva più borse che forza nelle braccia.
Non era piccola e, soprattutto, non era più molto giovane e aveva l'aria di portare sulle spalle un gran peso che la piegava impercettibilmente.
Si guardava le mani, senza muoverle, senza che si toccassero, senza toccare nulla. Fissava le lunghe dita un po' nodose, dalla pelle secca e screpolata. Ma in realtà stava guardando da un'altra parte, forse alle cose che con quelle mani aveva toccato, stretto, sfiorato, lavato, impastato, spinto, aggiustato e rotto, costruito e distrutto.
Era pulita e ordinata nel vestire, anche se l'impressione era che avesse preso delle cose un po' a caso, senza pensare troppo a come sarebbero state insieme. Aveva i capelli sciolti, lunghi fino alle spalle e tenuti indietro da una forcina, scuri ma con qualche capello bianco qua e là, perso nel mare nero.
Non ha mai alzato lo sguardo, sembrava davvero assorta. Nei ricordi, forse, nell'immaginare quello che sarà, mi piace pensare.
La porta si è aperta, ha raccolto tutte le sue borse e zoppicando leggermente è scesa. Aveva davvero più borse che forza nelle braccia e allontanandosi verso l'uscita un paio di volte ha voltato appena la testa per guardarsi indietro, con la coda dell'occhio.
Poi la porta si è chiusa e il treno è ripartito, lasciandomi sola a immaginare il prima e il dopo, che il durante è la cosa più difficile da pensare.
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